Delirii

Edipo a Hollywood

Prima o poi bisognerà rivedere i titoli di testa del film The Birds (1963) di Alfred Hitchcock.
Il terzo cartello, infatti, recita “THE BIRDS – from the story of Daphne du Maurier”. In realtà la sceneggiatura di Evan Hunter (aka Ed McBain, nato Salvatore Lombino) forse deve molto anche a Forbidden Planet (1956) di Fred McLeod Wilcox.
Tutti ricordano il plot del film di Hitchcock. Melanie (Tippi Hedren, al suo esordio) fa la conoscenza, in un negozio di animali di San Francisco, del giovane avvocato Mitch Brenner (Rod Taylor, recentemente visto nei panni di Churchill in Inglorious Basterds). Spinta da attrazione e curiosità, ma forse anche da ripicca nei confronti dell’uomo, Melanie decide di raggiungerlo a Bodega Bay, un paesino in riva a un lago dove lui trascorre i fine settimana in compagnia della madre Lydia e della sorella Cathy. Melanie porta con sé due pappagallini (“lovebirds”, in originale), regalo di compleanno per Cathy. Ma al suo arrivo la giovane, guardata con sospetto da Lydia, viene aggredita da un gabbiano: a questo che all’apparenza sembra un piccolo incidente, ne seguiranno altri, via via più pericolosi, fino a diventare letali. Bodega Bay si trova inspiegabilmente stretta sotto assedio da parte di volatili di ogni tipo.
Il racconto di Daphne du Maurier, su cui il film è basato è, come sovente capita, molto diverso. Non contiene la storia d’amore, né l’ambientazione “intima”. Il villaggio in cui vive Nat Hocken viene attaccato da una nube di gabbiani. Alla radio, Nat sente che non si tratta di un episodio isolato, ma che in tutta l’Inghilterra stanno accadendo simili, inspiegabili aggressioni. La nazione è nel panico, le autorità non sanno come reagire, e quando Nat capisce che l’intera sua cittadina è stata sterminata, non gli resta da fare altro che chiudersi in casa, fumando le ultime sigarette, ad aspettare che gli uccelli compiano l’assalto definitivo.
A parte, ovviamente, l’idea centrale, quella degli uccelli che violentemente e senza motivo attaccano esseri umani, film e racconto hanno in comune solo alcune situazioni, come la scena del camino, e l’agguato alla scuola. Ma non bastano questi punti a creare un vero legame tra le due opere. Nel racconto manca totalmente l’aspetto edipico, che è invece centrale nel film. La principale lettura che si dà alla pellicola di Hitchcock, infatti, vuole che gli uccelli siano una personificazione della possessione materna nei confronti di Mitch. Lydia vuole impedire a Melanie di strappargli via il suo uomo, e la sua ira si manifesta sotto forma di uccelli assassini (una chiara e divertente esposizione di questa interpretazione è nel documentario The pervert’s guide to the cinema (2006) di Sophie Fiennes, che contiene alcune analisi cinematografiche di Slavoj Žižek).
È il rovesciamento del tema di Psycho: lì Norman Bates uccide madre e amante dopo averli scoperti insieme.

Pentito, resuscita la figura materna non solo fisicamente (attraverso l’imbalsamazione) ma anche mentalmente, assumendone la personalità. Madre e figlio sono ora uniti, e la madre attua il suo controllo possessivo nei confronti di Norman, spingendolo all’omicidio ogniqualvolta il loro legame è minacciato.
Veniamo al film di Fred McLeod Wilcox. La pellicola è liberamente ispirata – nei personaggi soprattutto – a The tempest, la penultima opera di William Shakespeare. Viene inviata una missione spaziale sul pianeta Altair, alla ricerca dei sopravvissuti di una precedente spedizione. Al suo arrivo, l’equipaggio è accompagnato dal robot Robbie al cospetto del dottor Morbius, unico sopravvissuto della navicella Bellerofonte. Morbius spiega al capitano Adams (un giovanissimo Leslie Nielsen) come i suoi compagni siano stati uccisi da una creatura misteriosa, che ha risparmiato soltanto il dottore e la sua famiglia. Da allora, rimasto vedovo, Morbius vive su Altair per studiare la civiltà dei Krell, precedenti abitanti del pianeta. Quando il secondo in comando, Farman, conosce la giovane figlia di Morbius, Altaira, tenta immediatamente un approccio: quella stessa notte, il loro rifugio viene attaccato dalla creatura.
In realtà, il mostro è una proiezione della mente del dottor Morbius, il quale non vuole allontanarsi da Altaira: ha infatti distrutto la Bellerofonte per impedire alla figlia di abbandonarlo, e ha ucciso i suoi compagni di missione per evitare ogni tentazione sessuale alla ragazza, la quale, pur avendo diciannove anni, risulta ancora ingenua e innocente come una bambina.
Dunque, siamo in presenza, nelle due pellicole, di uno stesso rovesciamento edipico. Non tanto i personaggi, quando la macchina dell’Es è la vera protagonista delle due storie.
In Forbidden planet la macchina dei Krell, la macchina che dà vita alla creatura, è esplicitamente una macchina dell’Es: serve a rendere reali i desideri (ma i Krell non avevano tenuto conto della potenza del subconscio). Proprio come lo scantinato della casa di Norman Bates è il luogo in cui l’Es domina e controlla la mente di Norman: qui il figlio conserva il corpo della madre, qui lei prende il sopravvento su di lui (vedere a tal proposito il già citato The pervert’s guide to the cinema, in cui Žižek legge nella stratificazione di casa Bates una rappresentazione della soggettività umana: il piano terra è l’Io, in cui Norman agisce come una persona normale, il piano superiore è il Super-Io, in cui la madre prende il controllo della mente di Norman, e infine lo scantinato è l’Es, in cui le pulsioni materne diventano illecite e volgari).
L’amore possessivo del genitore si trasforma in una forza bruta e mortale, che si scatena all’apparire del pericolo (rappresentato dal desiderio sessuale) e si riversa su tutto il mondo circostante, individuato come minaccia. Non è solo la minaccia stessa ad essere colpevolizzata, ma l’ambiente che questa minaccia ha generato: il villaggio nel caso del film di Hitchcock (la prima vittima è la maestra, una vecchia fiamma di Mitch, con cui mantiene un rapporto molto ambiguo), l’equipaggio, o gli equipaggi, ne Il pianeta proibito.
Entrambi i mondi sono mondi isolati e circoscritti, una sfera familiare che viene turbata dall’arrivo di un soggetto, di un corpo estraneo. La pace viene spezzata, un ordine deve essere ristabilito. Ma il mezzo per raggiungere questo fine è sproporzionato rispetto alla causa scatenante, è talmente sproporzionato da diventare incontrollato, e prendere vita propria. Gli uccelli e il mostro non rispondono più ai comandi del loro demiurgo. La macchina dell’Es apre un abisso difficilmente richiudibile. E i due film attuano due risoluzioni opposte.
Lydia non si arrende, è riuscita nel suo intento: Melanie, ferita e istupidita, ormai è inerme. È stata addomesticata, non ha più una coscienza propria, non ha più volontà, non esprime più sensualità. Segue docilmente la famiglia Brenner, di cui ora può essere considerata un membro, anzi, più che un membro, quasi un animale da compagnia. Lydia porta con sé i suoi fantasmi, sono lì, sparsi per il villaggio, quieti, ma presumibilmente pronti a scatenarsi di nuovo, alla prossima minaccia all’unione familiare (Hitchcock non volle concludere il film con il consueto cartello “The End”).
Morbius ama Altaira, la ama veramente, ed è uno scienziato dotato di una profonda razionalità (comprende da solo di essere la causa di tutto il male). Capisce che l’amore per la figlia può essere espresso soltanto attraverso il sacrificio estremo, che la liberi da ogni catena: e così l’affida ad Adams, scegliendo di affrontare a viso aperto il proprio Es, che lo divorerà in un’esplosione tremenda: Es e Io si incontrano una volta, dentro Morbius, si guardano in faccia, e come materia e anti-materia non reggono allo scontro.
Due interpretazioni diverse, dunque, di un comune problema. Che riflettono due personalità e due epoche differenti, nonostante soli sette anni separino le due pellicole: l’approccio ottimista della fantascienza dell’età dell’oro, che deve fare i conti con decine di simili prodotti, e la misogina verve di un regista come Hitchock, che altre volte si troverà ad affrontare il tema della sessualità e del peccato, nelle sue opere.