Delirii

The crazies

Un film del 1973 e il suo remake del 2010. Quasi quarant’anni di distanza. Due diversi modi di raccontare la stessa storia, che rappresentano un’interessante metafora di come è cambiata la percezione del potere.
I film si intitolano entrambi The Crazies. Il primo (1973) è diretto da George Romero, il secondo (2010) da tale Breck Eisner. La trama: un aereo militare che trasporta il Trixie, potentissima arma biologica per la quale ancora non esiste un vaccino, precipita nei pressi di un piccolo villaggio del midwest americano (Evans City nel 1973, Ogden Marsh nel 2010). Mentre gli abitanti danno di matto e tentano di uccidersi l’un l’altro (il Trixie fa letteralmente impazzire le sue vittime), il governo invia un contingente militare per mettere in quarantena la città: né l’infezione, né la sua notizia devono arrivare al resto del Paese. Solo due uomini (il capo dei pompieri e il suo vice, entrambi reduci di guerra, nel film del 1973, lo sceriffo e il suo vice nel 2010) con la moglie, incinta, del primo di essi, tentano la fuga per la sopravvivenza.
Ma già così, a una superficiale visione, balzano agli occhi le differenze tra le due pellicole.
The Crazies 2010 è una cronaca della fuga di David, Judy e Russell: colpi di scena, sparatorie, alta tensione e sangue ne fanno un puro film d’avventura. I tre protagonisti devono scappare dal loro villaggio, arrivare alla città vicina per denunciare le follie a cui stanno assistendo: “militari” (una non meglio precisata entità) che uccidono liberamente cittadini americani. Durante il viaggio si imbattono in alcuni “contagiati”, che più che veri e propri malati sono “sciacalli”, cacciatori che in una zona di sospensione di diritti civili, e quindi di legalità, danno libero sfogo ai loro istinti animaleschi.
Il film di Romero, invece, è corale: la fuga di David, Judy e Clank è solo l’ultimo anello della catena di comando che, dal Presidente degli Stati Uniti in persona, attraversa tutte le gerarchie di potere: gli alti gradi militari, il Pentagono, fino al colonnello Peckam, mandato a Evans City per risolvere il problema del Trixie (Romero sostiene che inizialmente il film avrebbe dovuto raccontare solo degli sforzi del governo per tenere segreta l’epidemia, e che solo in un secondo momento abbia deciso di inserire le reazioni dei cittadini all’interno della trama). Peckam – che vive questa missione come una punizione inflittagli non sa bene per quale motivo – deve tradurre e mettere in pratica gli ordini concepiti da burocrati a centinaia di chilometri di distanza: chilometri che sono fisici ma anche mentali, dal momento che le decisioni prese spesso vanno contro la libertà e l’umanità dei cittadini innocenti. E quindi: deportazioni forzate, omicidi, esecuzioni.
Il film di Romero esce nelle sale nel marzo 1973, al termine di un anno delicato per gli Stati Uniti: in piena guerra del Vietnam, mentre Kissinger continua ad assicurare che ci si sta avviando verso un processo di pace, la celebre foto di Nick Ut mostra agli americani l’uso del Napalm sulla popolazione vietnamita; lo scandalo Watergate è appena scoppiato, e nel settembre 1972 il mondo intero assiste scioccato alle immagini del massacro delle Olimpiadi di Monaco. C’è di che riflettere, c’è di che aver paura. E The Crazies 1973 tenta proprio di rappresentare un governo che opprime i propri cittadini nel nome di un bene superiore di cui nemmeno i suoi esecutori diretti capiscono l’essenza. Ecco i continui dubbi di Peckam di fronte alle richieste del Pentagono. Ed ecco la scena rivelatrice del prete che si dà fuoco, in una posa che ricorda perfettamente il monaco buddhista Thich Quang Durc (che, appunto, si diede fuoco per protestare contro il governo del Vietnam del Sud e la sua politica di oppressione del buddhismo).
Il film del 2010, dal canto suo, nasce in piena era Obama. Un momento di apparente fiducia per gli organi diretti di comando, un momento in cui le gerarchie sembrano pulite. Ma è anche un momento di rinascita del complottismo di estrema destra, di quei gruppi di esaltati che vedono ovunque trame giudo-pluto-negro-eccetera (e con questo non dico che il film in questione sia espressione di razzismo, ma certo colpisce la quasi assoluta assenza di personaggi di colore in una pellicola del genere): l’unico nemico è il governo, anzi, è un’entità senza nome né volto che agisce colpendo dall’alto attraverso sofisticatissime apparecchiature di osservazione, oppure nascosto dentro SUV dai vetri oscurati. Questa entità non decide, non comunica: opprime, viola le libertà individuali, spinta da insondabili piani, e scappa quando le cose si mettono male, lasciando le brave persone in balia di loro stessi. (Forse una metafora di ciò che è successo a New Orleans nel dopo-Katrina? L’accostamento è stato usato per il lancio pubblicitario, ma personalmente lo trovo un po’ forzato).
In The Crazies 2010, infatti, gli unici nemici di David, Judy e Russell sono proprio i militari, che, protetti da tute anti-contaminazione, non parlano quasi mai, se non per strillare rari ordini. Non c’è traccia di contaminati pericolosi (a parte i tre cacciatori, ma la loro opera è indistinguibile da quella dei soldati: si tratta di puro istinto). E chi viene colpito dal virus è immediatamente riconoscibile, perché ne porta segni fisici. Il film di Romero, invece, ha una posizione molto diversa sul contagio, e uno dei suoi temi è proprio il problema della determinazione di chi sia malato e chi no: a chi spetta tale decisione? Non potendo stabilire con certezza (se non tramite esami del sangue) se una persona sia contagiata oppure agisca “per istinto”, durante il film vediamo come la scusa della malattia venga usata dai militari per procedere ad arresti e uccisioni sommarie. Sembra insomma che il vero folle sia proprio il Governo, mentre i suoi cittadini sono solo in lotta contro l’oppressore. Le rivolte armate, infatti, sono rivolte di libertà, non “di malattia”, e i militari sparano sulle persone sane così come su quelle malate, senza porsi alcun problema.

È proprio la follia la chiave di lettura delle differenze tra le due pellicole.

The Crazies 1973: nelle scene ambientate all’interno della scuola in cui vengono richiusi i contagiati, vediamo orde di persone ammassate l’una sull’altra che agitano le mani, ridono, guardano al cielo con espressioni estatiche: sembra di assistere a una riedizione di Woodstock. Sono tutti felici, cantano, ballano, fanno il segno di vittoria, si muovono lentamente con la bocca spalancata, quasi fossero in preda a un trip da acido. E il personaggio di Kathy (la giovane con turbe sessuali) è stato contagiato dal Trixie, o, al contrario, è solo il prodotto di una società puritana e oppressivamente bigotta?
Nel film del 2010, invece, in linea con i tempi che corrono, la follia è una depressione: i malati hanno lo sguardo nel vuoto, non parlano, non reagiscono, sono abulici. Stanno per ore nella stessa posizione, immobili, senza contatti con il mondo esterno. Il Trixie li rende aggressivi ma allo stesso tempo morti, privi di una coscienza civica: riescono solo a uccidere a caso (mentre nella versione di Romero i pazzi si organizzano e combattono contro i militari), ma non sono in grado di reagire all’oppressore. Hanno ancora un barlume di volontà, ma si tratta di volontà istintiva, animalesca.
E così, mentre in The Crazies 1973 la follia è una scusa usata dal Governo per privare i propri cittadini dei diritti civili, nel film di Eisner il vero messaggio sembra essere: è tutto inutile, tanto ti beccano ovunque tu vada. Personalmente, avrei preferito vedere qualcosa di più simile a: davanti a uno Stato oppressore e cieco, la vera follia è arrendersi senza reagire.

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